14 Mag Bonifici dall’estero e onore delle prova nel diritto tributario italiano
In materia di indagini finanziarie è necessario ricordare come un principio giurisprudenziale, anche di recente ribadito dalla Corte di Cassazione (ord. 11810 del 2019), si sostanzia nel fatto che la disponibilità di ingenti somme derivanti da bonifici esteri fa presumere l’esistenza di un reddito imponibile in capo al contribuente, soggetto al quale è demandata la prova contraria dell’irrilevanza fiscale, ai sensi dell’ art. 32 co. 1 del d.p.r. 600/1973.
Con citata ordinanza la Suprema Corte ha deciso una controversia tra l’Agenzia delle entrate e un contribuente il quale si era visto, a seguito di indagini fiscali, contentare l’esistenza di maggiori redditi di capitale derivanti da bonifici esteri.
Proposto ricorso il contribuente si vedeva riconosciute le proprie ragioni sia in I sia in II grado in quanto i giudici tributari affermavano che l’onere di provare la pretesa tributaria spettasse all’Agenzia fiscale e non al contribuente.
Avverso la decisione di II grado, l’Amministrazione finanziaria proponeva ricorso in Cassazione, avendo la meglio: infatti i giudici della Cassazione hanno affermatoche l’onere probatorio dell’esistenza di maggior reddito imponibile è soddisfatto dall’Amministrazione finanziaria con la mera indicazione analitica dei dati e degli elementi da essi risultanti. Si tratta di presunzione legale relativa, cioè che ammette prova contraria: il contribuente dovrà dimostrare analiticamente che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non afferiscono ad operazioni imponibili e, per l’effetto, non hanno rilevanza fiscale.
Orbene, nella vicenda in disamina, l’Amministrazione finanziaria, avendo provato che nel conto corrente della contribuente erano confluite ingenti somme per bonifici bancari provenienti dall’estero, con la causale dell’operazione “investimenti in beni e diritti immobiliari“, aveva correttamente dimostrato, mediante presunzioni, la disponibilità di maggiori redditi tassabili. Perciò, spettava al soggetto accertato dimostrare che gli elementi derivanti dai movimenti bancari non erano riferibili ad operazioni fiscalmente rilevanti, mediante una prova non generica ma analitica per ogni accreditamento bancario.