14 Mar Accesso per controlli fiscali in locali ad uso promiscuo: quali regole procedurali ?
Il tema è quello dell’ accesso, da parte dei verificatori fiscali (impiegati dell’Agenzia delle Entrate, Guardia di Finanza, ecc), presso un locale del contribuente che, al contempo, è utilizzato sia come sede legale, sia come abitazione privata (c.d. locale promiscuo).
Una associazione si vede notificare un avviso di accertamento, con contestuale provvedimento di irrogazione delle sanzioni anche al legale rappresentante della stessa, poiché considerato l’autore delle violazioni contestate.
Il provvedimento viene impugnato dalla associazione e dal rappresentante legale e i giudici tributari accolgono il ricorso in quanto l’atto impositivo è basato su materiale probatorio inutilizzabile. Esso è stato acquisito a seguito di accesso dei verificatori presso l’abitazione del legale rappresentante in violazione della legge che subordina la possibilità di svolgere l’accesso solo in presenza di “gravi indizi di violazioni fiscali“ (art. 52 D.P.R. 633/1972) che devono essere menzionati nell’autorizzazione rilasciata dal Procuratore della Repubblica.
La sentenza viene impugnata mediante ricorso per cassazione dall’Agenzia delle Entrate, con la motivazione che non è necessaria l’indicazione, nell’autorizzazione all’accesso rilasciata dal Procuratore della Repubblica, dei gravi indizi di violazioni fiscali.
L’art. 52 D.P.R. 633/1972 prevede testualmente che l’accesso nel luogo in cui il contribuente esercita la propria attività commerciale, agricola, artistica o professionale, nonché in quello utilizzato dall’ente non commerciale, deve essere previamente autorizzato dal capo dell’Ufficio da cui i verificatori dipendono.
Tuttavia, nel caso di locali utilizzati promiscuamente, ovvero sia per l’esercizio dell’attività commerciale o professionale, sia come abitazione privata, è necessaria un’ulteriore autorizzazione rilasciata dal P.M., che non deve contenere l’indicazione di gravi indizi di evasione ovvero di una motivazione specifica, in quanto si tratta di una sorta di atto dovuto, un mero adempimento procedurale che si limita a riscontrare la ricorrenza dei presupposti richiesti dalla norma ai fini dell’accesso domiciliare.
Infatti, solo qualora si abbia un accesso domiciliare, quindi presso l’abitazione del contribuente, considerate le particolari caratteristiche del luogo di indagine, dove si svolge la vita personale e della famiglia, al fine di rispettare la riservatezza di tutti i soggetti coinvolti, occorre una preventiva autorizzazione del Procuratore della Repubblica, che dia conto della sussistenza di gravi indizi di violazioni delle norme tributarie.
Nella vicenda in esame è risultato pacifico tra le parti che l’accesso sia avvenuto in un luogo utilizzato contemporaneamente sia come sedelegale dell’associazione, sia come abitazione privata del legale rappresentante.
In considerazione di tale accertamento in fatto, quindi, i Giudici della Cassazione hanno dato ragione all’Agenzia delle entrate affermando che: «In tema di accertamento, l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, prescritta dall’art. 52, primo e secondo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972, ai fini dell’accesso degli impiegati dell’Amministrazione finanziaria (o della Guardia di finanza, nell’esercizio dei compiti di collaborazione con gli uffici finanziari ad essa demandati) a locali adibiti anche ad abitazione del contribuente ovvero esclusivamente ad abitazione, è subordinata alla presenza di gravi indizi di violazioni soltanto in quest’ultima ipotesi e non anche quando si tratti di locali ad uso promiscuo. Tale ultima destinazione ricorre non soltanto nel caso in cui i medesimi ambienti siano contestualmente utilizzati per la vita familiare e per l’attività professionale, ma ogni qual volta l’agevole possibilità di comunicazione interna consenta il trasferimento di documenti propri dell’attività commerciale nei locali abitativi».
Brno, 12.3.2021