29 Mag I rapporti tra procedimento tributario e penale: la collaborazione tra la polizia e l’amministrazione fiscale
Abbiamo chiarito che il processo tributario giunge alla determinazione dell’imposta dovuta in caso di evasione tuttavia il giudice penale non è vincolato a tali conclusioni in quanto lui deve giudicare la colpevolezza dell’imputato „al di là di ogni ragionevole dubbio”.
Una differenza di esito tra procedimento penale e tributario può, però, derivare da un fatto molto pratico: l’amministrazione fiscale ha termini molto più brevi per giungere all’accertamento dell’imposta dovuta (di norma 3 anni, vedi art. 148 ordinamento tributario) rispetto ai termini della prescrizione entro i quali il giudice penale deve emettere la sentenza definitiva di condanna. Quindi può accadere che il procedimento tributario arrivi tardi e si conclude con un nulla di fatto mentre il giudice penale abbia ancora tutto il tempo per eventualmente determinare un’evasione e punirla.
Detto questo, esiste una collaborazione tra amministrazione fiscale e penale da raccontare.
A livello procedurale l’amministrazione fiscale e l’autorità penale sono tenute a collaborare come prescrivere l’art. 8 c.p.p. L’obbligo si applica solo verso il pubblico ministero dopo che è stato depositato in tribunale l’atto di accusa. Quindi l’obbligo non opera verso la polizia tuttavia, siccome l’amministrazione finanziaria ha un obbligo di denuncia dei reati, se le forze di polizia necessitano di informazioni, attraverso questo ultimo canale possono ottenerle. Vale anche il contrario: l’art. 57 dell’ordinamento tributario permette all’amministrazione fiscale di ottenere dagli altri organi pubblici, e tra questi è compresa la polizia, le informazioni necessarie per adempiere ai suoi fini istituzionali. Quindi l’amministrazione fiscale può chiedere alla polizia i documenti di un fascicolo di indagine. Alcuni osservano come nel procedimento tributario esista una parità delle armi quindi quei documenti acquisiti dal fascicolo di indagine vengono conosciute non solo dall’amministrazione fiscale ma anche dal contribuente e questo potrebbe nuocere alla segretezza che dovrebbe coprire alcuni documenti del fascicolo di polizia.
Un noto caso di stretta collaborazione tra polizia e amministrazione fiscale è la struttura di indagine chiamata Daňová kobra che unisce tre forze: la Polizia di Stato, l’amministrazione fiscale e l’amministrazione doganale. La Daňová kobra indaga su reati fiscali e quindi il travaso di informazioni tra polizia e amministrazioni civili può essere notevole. Un’altra forma di collaborazione è rappresentata dall’intervento dell’amministrazione fiscale o doganale come perito in un procedimento penale con il rischio che l’esperto che, dall’interno dell’amministrazione fiscale o doganale, offre la sua perizia, potrebbe farlo all’interno di un procedimento nel quale l’amministrazione per la quale lavora è parte lesa, venendo meno la sua imparzialità.
Un altro aspetto da analizzare è l’operatività del principio ne bis in idem: in altre parole non si può essere processati e punti due volte per uno stesso fatto. Esiste un divieto di doppia punizione. Siccome nell’ambito fiscale per uno stesso fatto evasivo intervengono il giudice penale e l’amministrazione fiscale, il rischio di una doppia sanzione verso lo stesso soggetto deve essere considerato. Sulla portata del principio ne bis in idem si sono espressi molte volte i giudici europei della Corte di giustizia UE, quelli della Corte dei diritti dell’uomo e, infine, i giudici cechi pertanto sono stati formulati numerosi criteri per stabilire se e quando una doppia sanzione è da considerarsi in violazione del principio del ne bis in idem.
In Repubblica ceca di solito le autorità amministrative presentano una denuncia penale solo quando la loro decisione è diventata giuridicamente vincolante. Una sovrapposizione di procedimenti, penale e tributario, è l’eccezione e questo accade quando i fatti sono gravi e quindi l’amministrazione denuncia penalmente il contribuente senza aspettare che il proprio procedimento amministrativo sia concluso.
Di norma la punizione che deriva dal procedimento penale e dal procedimento tributario ha come destinatario lo stesso soggetto, ma questo non sempre accade. Può accadere che il procedimento tributario veda come destinatario della sanzione una persona giuridica mentre il procedimento penale si rivolga al rappresentante legale della stessa. Il divieto di condannare due volte per lo stesso fatto è applicabile quando la sanzione tributaria è stata comminata alla società e il procedimento penale riguarda la persona fisica del legale rappresentante? La risposta è che il divieto del ne bis in idem non è applicabile come ha stabilito nel 2017 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Come accade in tutti i procedimenti tributari in cui a subire la sanzione tributaria è una persona giuridica, le sanzioni vengono applicate alla società, mentre il successivo processo penale, stante la “personalità” della responsabilità penale, viene avviato nei confronti della persona fisica individuata quale legale rappresentante della società stessa. Indubbiamente quando la società è formata da un socio unico e amministratore unico che sono la stessa persona, è forte il pericolo che ci sia di fatto una doppia sanzione con violazione del ne bis in idem pertanto la materia meriterebbe una riflessione.
Infine esiste il principio per cui nessuno può essere obbligato ad autoincriminarsi: in rapporto ai reati fiscali questo principio si manifesta nel fatto che non può essere obbligato qualcuno a pagare le imposte sui proventi derivanti da attività delittuosa perché diversamente, nel momento in cui si obbliga qualcuno a pagare le imposte sui proventi illeciti e quindi a presentare la dichiarazione dei redditi, in tale sede dichiarativa costui si dovrebbe autodenunciare circa la commissione di un reato. E’ vero che l’amministrazione fiscale sarebbe tenuta alla riservatezza tuttavia rimane la questione di come affrontare i casi in cui l’amministrazione fiscale presenta comunque una denuncia penale.
Si pensi al caso in cui determinate attività imprenditoriali necessitano di un’autorizzazione. Svolgere la suddetta attività senza autorizzazione può essere reato. Reato di esercizio abusivo di attività. Il principio che l’imputato non può essere costretto a confessare trova applicazione nel rapporto tra il reato di evasione e, appunto, il reato di esercizio abusivo nel senso che l’occultamento dei redditi conseguiti a seguito dell’esercizio abusivo di un’attività non può essere considerato reato di evasione. Bisogna evitare che l’autore del reato di esercizio abusivo di un’attività sia effettivamente costretto ad ammettere o denunciare tale illecito in adempimento dell’obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi, esponendosi cosi al rischio di procedimento penale per tale reato.