Non è possibile il sequestro per equivalente di Bitcoin quale profitto di un reato

Non è possibile il sequestro per equivalente di Bitcoin quale profitto di un reato

Recentemente a Cassazione italiana penale ha annullato il sequestro probatorio di bitcoin applicato per equivalente rispetto alla misura dell’imposta evasa contestata al ricorrente. Per i giudici di legittimità non è legittima la misura cautelare del sequestro che, in presenza della commissione di reato tributario, mirando a colpirne il profitto, cioè l’imposta evasa e calcolata in euro, applichi il sequestro probatorio su criptovalute detenute dall’indagato. La non applicabilità del sequestro dei bitcoin non è possibile n quanto questo tipo di criptovalute sono prive di valore legale e non sono valido mezzo di pagamento con effetti liberatori. Infatti, le monete virtuali quali i bitcoin non sono valute in quanto tali e non soggiacciono alle regole di circolazione e di cambio come avviene per le monete aventi corso legale. La criptovaluta si sostanzia nella rappresentazione di un “valore digitale” accettato da persone fisiche o giuridiche, come mezzo di scambio e non è garantita dall’esercizio di poteri autoritativi di una banca centrale o di un ente pubblico. L’andamento del suo valore non è di conseguenza agganciato all’andamento della moneta avente valore legale con cui è espresso lo stesso debito tributario verso l’Erario. Per la Cassazione è in sintesi illegittima la conversione in Bitcoin dell’importo sequestrabile in euro quale profitto del reato tributario. In particolare per la mancanza di regolamentazioni a opera di istituzioni statali che ne possano garantire in via autoritaria un andamento stabile al fine di ovviare a forti oscillazioni del cambio in sede di conversione.