
01 Mar Le chat di WhatsApp possono essere usate come prove documentali in caso di accertamenti da parte dell’Agenzia delle Entrate o della Guardia di Finanza, anche senza che siano state disposte intercettazioni.
Normalmente le intercettazioni vengono effettuate con specifici permessi da parte dell’Autorità giudiziaria tuttaviale le chat di WhatsApp possono essere utilizzate come prova anche senza che sia stato disposto alcun tipo di controllo diretto, come stabilito dalla sentenza della Corte di cassazione italiana, la n. 1254 del 2025.
Ad avviso dei giudici, i messaggi su WhatsApp possono essere considerati validi come prova legale, a meno che la persona contro cui vengono usati non ne disconosca l’autenticità. Per provare detta autenticità bisogna provare che i messaggi provengano da un dispositivo identificabile e che essi non siano stati alterati durante la loro trasmissione o conservazione. Per la Corte di Cassazione i messaggi possono essere acquisiti in modo semplice, tramite screenshot. Se poi qualcun altro ha salvato la chat con uno screenshot, infatti, questa può comunque essere utilizzata come prova, anche in caso di cancellazione da parte dell’autore della conversazione. All’interno di un processo tributario, la prova documentale ha maggiore peso rispetto alle prove testimoniali per cui le ispezioni fiscali nei luoghi dove si svolgono attività economiche possono avere per oggetto anche i dispositivi elettronici come computer e smartphone. Nel caso in cui emergano prove di una contabilità parallela o di attività fiscali illecite, le conversazioni sui dispositivi del contribuente possono essere utilizzate come prova. Anche se la sentenza della Corte di Cassazione del 2025 ha chiarito la validità di questi messaggi come prove, la portata di questa decisione non è del tutto innovativa, in quanto ci sono già stati precedenti legali in merito.